Se il dipendente si appropria di un bene dell’azienda o ruba all’interno del posto di lavoro ad altri colleghi o allo stesso datore, viola il “patto di fiducia” che deve sempre sorreggere un rapporto di lavoro: pertanto, anche se si è impossessato di un bene di scarso valore, la sua condotta è talmente grave da giustificare il licenziamento. Lo ha detto la Cassazione in una recente sentenza [1].
La Suprema Corte, comunque, approfitta dell’occasione per chiarire un altro aspetto importante. Anche se il contratto collettivo indica una determinata condotta, considerata in astratto, come causa di licenziamento, bisogna comunque sempre valutare che la stessa, nel caso concreto, sia sufficientemente grave da giustificare la sanzione espulsiva. E questo perché solo l’inadempimento di non scarsa importanza – recita il codice civile [2] – consente la risoluzione del contratto (ivi compreso quello di lavoro). Nel caso di specie, tuttavia, secondo i giudici, il furto, qualunque sia il valore del bene sottratto, è comunque un comportamento tale da ingenerare sospetti per il futuro e da far dubitare della futura correttezza e lealtà del lavoratore nell'adempimento dei propri obblighi. Esso, quindi, può facilmente portare al licenziamento anche per beni di modico valore come dei blocchetti di buoni mensa.
[1] Cass. sent. n. 13162/15 del 25.06.2015